Specie, adesso, con l’aggravarsi della crisi economica, coloro che sono riusciti a creare un’attività redditizia si danno molto da fare per lasciarla ai propri figli. Lo fanno gli imprenditori, i commercianti, gli artigiani, i macellai, i parrucchieri. In realtà, questa tendenza insiste già da qualche anno, specie nelle aree economicamente più depresse del Sud Italia, dove le opportunità di lavoro scarseggiano da sempre.
Tramandare un’attività di padre in figlio è il modo più semplice per trovare lavoro in Italia. Quest’abitudine ha però portato a tutte le scorrettezze e le ingiustizie che tutti noi conosciamo: raccomandazioni, totale e assoluta svalorizzazione del merito, assunzioni illegali nei posti pubblici, ecc.
Il tramandare il lavoro di padre in figlio non è dunque stato solo un “tappabuchi” per risolvere le difficili contingenze della crisi economica, ma anche un sistema ben architettato e consolidato.
I figli di coloro che non avevano attività o lavori da tramandare, proprio a causa di questo sistema, si sono ritrovati a vivere pesanti situazioni di precariato e disoccupazione. Ciò che è accaduto e che da sempre accade in Italia denota una mancanza di libertà nella scelta della propria vita.
La soddisfazione morale ed economica si può raggiungere solo se si ha la possibilità di scegliere l’attività che si vuole svolgere. Diversamente, si gettano le basi per l’infelicità e per l’insicurezza personale, anche se il lavoro lo si è trovato nell’azienda di papà. Il mondo d’oggi avrebbe bisogno di uomini e donne in grado di compiere un regolare percorso di crescita, e non di persone in difficoltà che vengono aiutate dai genitori rimanendo per sempre “figli” anche se a loro volta sposati e con prole.
Sarebbe ora che le istituzioni iniziassero a legiferare per annientare la piaga delle raccomandazione e per dare a tutti il diritto a un lavoro che viene scelto, costruito ed ottenuto liberamente da soli.
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