La piaga della raccomandazione

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ricercalavoroUn articolo apparso su Repubblica, circa 3 anni fa, rivelava un dato agghiacciante: un Italiano su due  farebbe uso della raccomandazione per entrare nel mondo del lavoro.

Il servizio rendeva noti i dati di un’indagine Isfol secondo cui il 40% degli italiani troverebbe posto grazie ad amici, parenti o conoscenti.

Il nostro paese è davvero condannato a ricorrere alla raccomandazione per lavorare? Nei fatti sembra proprio di sì.

Ed ecco che nel negozio e nell’azienda di papà trovano, spesso, lavoro mogli e figli. Ma fin quì siamo nel privato.

Il dramma sorge quando le raccomandazioni invadono campi più delicati, come il settore pubblico o la Sanità.

Per raccomandazione si intende un atto teso a favorire un soggetto nella procedura di selezione o di accesso al lavoro. La raccomandazione differisce dall’omonima lettera, di cui parleremo successivamente.

Non è escluso che anche un raccomandato possa essere  bravo e di talento, ma se la segnalazione forzata porta anche alla violazione delle procedure selettive e delle norme di legge che regolano l’accesso al lavoro ecco che il rischio di un danno ingiusto nei confronti di chi avrebbe potuto meritare l’accesso a quel posto di lavoro, si consuma in tutta la sua tragica drammaticità.

Poco tempo fa abbiamo assistito, impotenti, alla notizia del suicidio di un giovane ricercatore siciliano, depresso dalle continue porte chiuse e dalle scarse prospettive di lavoro e di carriera.

La piaga della raccomandazione continua, purtroppo, ad essere presente e fortemente radicata, specie nel Meridione, dove è quasi storia e consuetudine.

Ma i danni della raccomandazione non si riversano solo sul singolo individuo discriminato, ma sull’intero sistema economico e produttivo.

L’economia italiana non gira come dovrebbe. Ma siamo sicuri che sia tutta colpa della crisi finanziaria? O c’entra pure lo zampino della “spintarella”?

Fonte immagine: magazine.libero.it

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