Avete mai sentito dire che il lavoro nobilita l’uomo?
L’affermazione è una condivisibile perla di saggezza popolare, ma oggi è veramente poco attuale.
In questo momento di crisi diffusa, i giovani, più che scegliere il lavoro della loro vita, sono costretti ad arrabattarsi.
Se per un verso il mercato del lavoro è bloccato dalle difficili contingenze economiche, per un altro molti settori professionali sono saturi. In questo senso il nostro paese non si dimostra capace di fare largo ai giovani. Sostanzialmente, in Italia, manca una naturale tensione allo svecchiamento di tanti settori produttivi e molte professionalità restano in mano ad anziane lobi. Il risultato è devastante per i giovani: professioni chiuse, lavori precari e competenze troppo spesso mortificate.
Le ultime rilevazioni ISTAT non possono lasciare indifferenti:
considerati i cittadini tra i 15 e i 24 anni, il tasso dei senza lavoro è pari al 27,7% del totale e, rispetto allo stesso periodo del 2009, è aumentato del 2,9%.
La disoccupazione giovanile italiana risulta più alta del 7,1% rispetto alla media europea, dove il tasso si è attestato al 20,6%.
I numeri non mentono: il rapporto tra i giovani ed il lavoro non è felice.
E, a costo di sembrare banali, siamo costretti a sottolineare che dove manca il lavoro, ed il guadagno che ne consegue, si blocca la crescita del paese.
Come un giovane precario può pensare ad una famiglia sua?
Con quali sostanze può decidere di mettere al mondo un figlio?
Il mondo gira intorno ai soldi, è vero, ma è ancora più vero che il danaro viene dal lavoro e con esso viene anche la soddisfazione e l’affermazione personale dell’individuo.
In conclusione: niente lavoro, niente soldi, niente soldi, niente famiglia e neanche figli.
Ma cosa resta di questi giovani? I sogni e le speranze, semplici, banali, riconducibili al solo desiderio di crescere autonomamente, lavorando, avendo casa e figli, contribuendo produttivamente alla crescita del paese.
Ma il lavoro non era un diritto garantito dallo Stato sociale?
La nostra Costituzione non si apre con la romantica dichiarazione: <L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro>?
E la famiglia, come cellula elementare della società, non dovrebbe essere sostenuta, promossa ed agevolata?
Le tutele previste dalla legge costituzionale appaiono ai lettori come vuote dichiarazioni di principio. L’intenzione del costituente è stata disattesa dai fatti. Nella redazione della carta costituzionale il legame stato – lavoro – famiglia fu affermato come principio di base, caposaldo del vivere sociale. Con l’auspicio che il legislatore ordinario prevedesse leggi idonee a rendere possibile, in ogni momento della vita del paese, proprio la produttività, la crescita economica, la natalità che non viene se non attraverso la costruzione della famiglia. Laddove la famiglia, non necessariamente va pensata in termini di matrimonio, piuttosto, va intesa in senso largo, come unione e condivisione di un progetto di vita.
Allo stato attuale l’Italia manca di una sua politica sociale. I moderni ammortizzatori sociali sono i nonni, quelli che hanno avuto il privilegio di nascere quando il bel paese lavorava.
Ebbene, sarebbe auspicabile una nuova politica del Welfare, pensata per un paese che chiede e merita promozione e rinnovamento.
Dott.ssa Federica Federico