E’ recente la sentenza 5078/2016 del 16 Marzo 2016 dove la Suprema Corte, a Sezioni Unite, ha stabilito che non può applicarsi l’Iva alla tariffa di igiene ambientale, cioè sulla tassa dei rifiuti.
Essendo la tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (cfr. art. 49, d.lgs. n. 22/1997) di natura tributaria non si può applicare l’Iva che viene invece applicata in caso di acquisto di beni o servizi, in linea con la previsione ex art. 3 d.p.r. n. 633/1972.
«Ha natura tributaria e quindi non è soggetta ad IVA, dal momento che l’IVA come qualsiasi altra imposta deve colpire una qualche capacità contributiva. Ed una capacità contributiva si manifesta quando un soggetto acquisisce beni o servizi versando un corrispettivo, non quando paga un’imposta, sia pure “mirata” o “di scopo” cioè destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il soggetto stesso».
In realtà il rimborso dell’Iva pagata dovrebbero avvenire automaticamente, forse attraverso la bolletta della tassa stessa, ma più probabilmente attraverso un sistema automatico, per evitare eventuali contenziosi nei tribunali civili.
Da un primo calcolo del Cgia di Mestre, se tale principio applicato nel caso preso in esame dalla Cassazione si estendesse a tutte le società di raccolta dei rifiuti, il Fisco dovrà rimborsare tutte le famiglie che dal 1999 han pagato la tassa sui rifiuti attraverso la Tia, e sborsare una cifra che si aggira intorno al miliardo di euro.
Una cifra enorme ma suddivisa si tratta di circa 67 euro a famiglia. Sono ovviamente escluse le imprese le quali hanno potuto detrarla in questi anni e che quindi dovrebbero essere escluse dai rimborsi.
Purtroppo ancora non si sa da chi o come verranno calcolati e distribuiti gli interessi che negli anni sono maturati su questi soldi derivati da una tassa illegittima.