Buoni postali e titoli di Stato sono investimenti sicuri?

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Se un tempo l’obiettivo principale di chi possedeva qualche risparmio era quello di farlo fruttare, oggi le cose sono cambiate. Si è rinunciato al lucro e si preferisce puntare tutto sulla possibilità di conservare i propri risparmi evitando le perdite.

Una delle soluzioni più gettonate ad oggi è rappresentata dai Buoni Fruttiferi Postali i famosi BFP, indicizzati all’inflazione. Per quanto questi rendano meno se paragonati ai corrispondenti titoli del tesoro, dalla loro hanno il vantaggio di evitare al sottoscrittore di rimetterci in  termini nominali in qualunque momento decida di disinvestire i propri risparmi.

È bene ricordare infatti che i BTP possono essere facilmente riscattati senza sostenere alcuna spesa, e in qualunque momento già che somigliano molto da vicino ad un conto deposito non vincolato. Per dirla semplice si tratta a tutti gli effetti di un deposito a vista. L’unico rischio, sempre più concreto di questi tempi, è relativo ad un eventuale default dello Stato Italiano.

Altra forma di investimento è quella relativa ai titoli di Stato con scadenza superiore ai 12 mesi, che purtroppo diventano meno sicuri giorno dopo giorno visto che sono divenuti soggetti alle clausole di azione collettiva (CACs) dagli inizi dell’anno in corso. Queste clausole applicate ai CTz, Btp, Btpi e BtpItalia con scadenza che supera l’anno non riguardano invece i Bot.  Nessun allarmismo: queste nuove regole si applicano solamente ai titoli di stato emessi dopo il 1 gennaio 2013 e dunque le emissioni precedenti sono esenti da qualsiasi problematica.

Detto questo è bene specificare in cosa consistono le clausole di azione collettiva. Tanto per fare immediatamente un esempio pratico è proprio grazie a questo genere di provvedimenti che la Grecia ha potuto, qualche tempo fa, modificare unilateralmente in corso d’opera le condizioni contrattuali delle obbligazioni, basandosi esclusivamente sul consenso dell’ente emittente e dei possessori del 75% dell’ammontare emesso, tenendo conto solo marginalmente del parere dei piccoli investitori privati. Insomma una condizione che mette a grosso rischio tutti gli investimenti sui titoli di Stato di nuova emissione. Unica consolazione? Uno stato può imporre tali clausole solo sul 45% del totale emesso in un intero anno.

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